YES PEACE: il pacifismo femminista
e il superamento della violenza

Marzo 15, 2022 1014 Visite Caterina

 

 

Alla luce dei recenti avvenimenti e il tanto parlare di guerra c’è un dato che mi ha fortemente colpito.
Nel 2021 la quasi totalità dei condannati per omicidio in Italia sono stati uomini, per esattezza il 98,3% contro l’1,7% delle donne.
Questo dato si lega alla violenza della guerra, e l’ho trovato estremamente interessante.
Gli uomini sono forse più violenti?

Alma Dolens affermava che la propensione della donna alla pace nascesse non tanto dalla maternità quanto dal ruolo educativo che le donne avevano ricoperto da sempre. Questa relazione avrebbe portato la donna a sviluppare valori di comprensione reciproca, ascolto, osservazione, benevolenza e tolleranza.

Il femminismo studia da sempre i meccanismi di violenza e proprio grazie a questo offre le chiavi di lettura per aprire il nostro sguardo.
Di questa violenza che sfocia con prepotenza in cultura dello stupro e violenza di genere ne sono figli anche il militarismo e la guerra

 

 

Il femminismo pacifista

 

Era il 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale i primi movimenti delle suffragiste si stavano riunendo per discutere di pace. Diedero vita a quello che sarebbe passato alla storia come il Congresso Internazionale delle Donne per la Pace. Fu il primo atto di riflessione coordinata che delineò le linee pacifiste del movimento.

Congresso internazionale per la pace delle donne, Aja, Olanda, 1915

La guerra era già in corso e nonostante la fatica emotiva e psicologica della guerra che stavano subendo donne e uomini, centinaia di rappresentanti viaggiarono tra i vari paesi europei per radunarsi al Palais de la Paix dell’Aja in Olanda.

Si presentarono in migliaia, più di 2000 donne si incontrarono per discutere di pace alla presenza della presidente e sociologa americana Jane Addams, la così detta donna più pericolosa d’America per le sue strambe idee pacifiste (premio Nobel alla pace nel 1931).

 

 

Due figlie legittime: la militarizzazione e la guerra

 

La guerra è la figlia legittima del patriarcato così come tutti i suoi figli cadetti: la sopraffazione e lo sfruttamento, il controllo, la conquista del territorio e la violenza fisica ed emotiva sui popoli. Possiamo tout court dire che la guerra è il momento più acuto e delirante del patriarcato. Inoltre è il momento in cui più si erge il meccanismo di superiorità maschile.

La militarizzazione invece ne è la sua forma estrema di attuazione. L’obbedienza che ne deriva mira alla sottomissione dei popoli e al ripristino consapevole o no di un modello (in)naturale di separazione dei sessi nella società. Sembra che allo scoppio della guerra i passi fatti avanti nel cambiamento sociale di genere si ribaltino risvegliando una sorta di nostalgia del meccanismo (in)naturale dei ruoli di genere.
Madri e bambine indifese che fuggono, uomini soldati che combattono e le proteggono. 

La guerra e la militarizzazione sono i due fenomeni tesi al rinforzo della distinzione di genere, rigorosamente binaria ed eterosessuale, in una sola parola virile.

Fanno riflettere le parole del patriarca russo Kirill pronunciate i giorni scorsi in cui giustifica la guerra come strumento contro la lobby gay. D’altronde tra i punti fondanti patriarcali non ci sono forse l’obbligo all’eterosessualità (come unica normalità) e il controllo della fecondazione?

Da un lato le donne madri che proteggono i cuccioli, dall’altra gli uomini coraggiosi soldati che in nome della Patria muoiono rinunciando al loro ruolo di padri e di uomini non toro. Non c’è spazio per gli uomini figli del femminismo nella guerra.

Lo spirito militare infatti si affaticherà non in difesa di madri e padri, ma delle sole madri, delle donna deboli (d’altronde quale donna non lo è in tale rappresentazione?) e dei bambini indifesi. L’aggravamento della nostalgia di genere che discrimina è insidiata nel racconto mediatico dei bambini di guerra indifesi, delle madri in pericolo che fuggono, degli uomini che impugnano le armi per morire lontani dalla loro famiglia in nome della PAtria.

Ecco la perfetta fotografia dei ruoli patriarcali. 

 

 

Militarismo no grazie

 

 

Il pensiero militare è basato sul “legame tra la violenza e la superiorità maschile, sul culto della forza, sul disprezzo della debolezza fisica, sulla repressione di sentimenti di pietà e tenerezza”1.

Nel 1914 Grace Isabel Colborn definì così il pensiero militarista:

Il punto di vista militare è quello del disprezzo della donna, la negazione di qualsiasi valore che non sia la riproduzione. È questo spirito del militarismo, la glorificazione della forza bruta, che ha tenuto la donna in schiavitù politica, legale, economica2.

Nel discorso di guerra non c’è alcuna possibilità per le donne di uscire da tale dicotomia, né nel ruolo di soldate né in quello di madri indifese in quanto è il maschio toro del pensiero patriarcale il grande protagonista dello spirito militare.
Il dominio della militarizzazione rispecchia ad ogni livello il meccanismo di oppressione della donna nella società: controllo, obbedienza, sottomissione, sfruttamento.

 

Morire per la PAtria

 

In questo momento girano spesso immagini diverse.
Nel web, video di soldate pronte al sacrificio della guerra, o di volontarie che
organizzano la resistenza con Kalshnikov. Sotto di essi dubbi post orgogliosi di alcune donne, o frasi sessiste e canzonatorie di alcuni uomini: volevate la parità.

In televisione invece la narrativa si concentra sulle madri che fuggono piangenti con i propri figli separate dai mariti pronti a morire.

Ma dove si colloca la narrativa della donna legittimamente riconosciuta dal femminismo in queste rappresentazioni? La risposta è in una frase della suffragista Paolina Schiff:

 La donna è l’eterna protesta contro la guerra.

La guerra è la mano del patriarcato nella sua massima volontà di essere obbedita.
Le donne potranno fuggire o restare, combattere come soldate o volontarie, ma nessuna di queste narrative sarà espressione della donna liberata dal patriarcato.
Neppure la soldata che muore nella militarizzazione lo è in quanto la sua morte sarà lo strumento dello stato patriarcale per rafforzare la sua violenza sottomissiva, quella che relega e uccide le donne in tempi di pace.
La lotta femminista è perché nessun uomo o donna sia soldato o soldata, perché nessun popolo sia sottomesso con l’obbedienza da autocrati o governi che legittimano la violenza patriarcale.

 

 

Ecco perché femminismo e guerra non potranno mai andare insieme, ecco perché il pacifismo è la vera arma imbracciata dal femminismo. Ecco perché soldati e soldate divengono solo un’immagine dell’imposizione della cultura della violenza, dello stupro e della sopraffazione da cui il femminismo rifugge.

Morire per una PAtria che opprime, per un esercito militare che intrappolerà ancor più nel ruolo patriarcale preconfezionato per donne e uomini?

Morire per il patriarcato? No grazie! Non voglio essere ne vittima ne assassina, solo una persona libera in un mondo equo di pace.

 

 

L’oscurantismo su ambiente e diritti umani alla parola guerra

 

Scoppia la guerra, e in un attimo la questione ecologica, i diritti umani, la discriminazione, tutto scompare dalla cronaca. Gli uomini devono pensare a cose più importanti, lasciamo queste sciocchezze per un po’.

Il giorno dello scoppio della guerra in Ucraina sono in corso in Australia le peggiori inondazioni della storia del paese, a Brisbane sta cadendo l’80% della pioggia che cade in un anno.

Il 28 febbraio l’IPCC sta posando sul tavolo dell’ONU il nuovo importantissimo rapporto ambientale, il più grave della storia ecologica, che racconta l’irreversibilitá della terra, molto presto il 40% della popolazione mondiale sarà in gravissimo pericolo.

La guerra è abbastanza importante da oscurare l’avvicinamento della sesta estinzione di massa. Nulla togliendo al dolore che ci stiamo autoprovocando come umanità e alla gente che fugge dai conflitti, non ci sarà alcuna guerra o alcuna pace senza un pianeta in cui abitare.

C’è però da ben sperare che questo sia l’ultimo colpo di coda di un patriarcato agonizzante che si autodistrugge tentando un ultimo colpo per ricomporsi.  Per questa ragione è necessario opporsi con tutte le nostre forze alla guerra urlando alla pace, rifuggendo la polarizzazione, la colpa delle parti e gli schieramenti. 

Solo il superamento della violenza consentirà al pianeta di vivere, alla nostra specie di sopravvivere. La pace non è un’illusione che si rompe, come è stato affermato, la pace è un meccanismo che si costruisce ogni giorno, che si conferma e rilancia ogni giorno. 

Per questo non dobbiamo dire NO ALLA GUERRA ma SÍ ALLA PACE e focalizzarci sugli impegni che ci chiede di assolvere perché continui a esistere ancora e ancora ogni giorno.

 

Bibliografia

  1. Militarismo versus femminismo di Bruna Bianchi.PDF
  2. cit. Women and the Military Spirit, in “The Woman Voter”, 5, 1914, p. 9, citato da L. B.
    Costin, Feminism, Pacifism and the 1915 International Congress of Women, in “Women’s Studies
    International Forum”, vol. 5, 3-4, p. 305
  3. Il militarismo, la maternita’ e la pace. Voci dal femminismo italiano (1868-1918) di Bruna bianchi. PDF

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